La fatica di decidere…

 

Madri e padri, quando si sposano o decidono di convivere e di mettere al mondo dei figli, sono quasi sempre convinti – o perlomeno sperano – che il loro rapporto durerà per tutta la vita.  Può accadere, però, che le cose non vadano come ci si aspettava e ci si trovi costretti a scegliere quello che finiscono per considerare il minore tra due mali: continuare una convivenza diventata ormai insostenibile o addirittura dannosa per tutti, bambini compresi, oppure separarsi.

            Per molti genitori alle prese con la vicenda separativa questo può essere il momento per   rivolgersi ad un servizio di mediazione familiare  per  cercare, con l’aiuto di un operatore imparziale ed adeguatamente formato, gli elementi per un accordo che, a partire dai figli,  tenga conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia per una nuova organizzazione delle relazioni e delle modalità per comunicare; il tutto per continuare, compatibilmente con i cambiamenti in atto, ad assolvere ai propri doveri e, al contempo, godere dei propri diritti di madre e padre.

Si tenta, in sostanza, di mantenere, pur nel cambiamento in atto, una continuità ed una coerenza educativa basata sulla necessità dei figli ad avere “libero accesso” ad entrambi i genitori che, anche se divisi, devono poter esercitare in modo responsabile il loro ruolo e le loro funzioni, esattamente come succedeva quando vivevano insieme  e non avrebbero mai accettato che fossero altri a decidere al loro posto (giudici, avvocati, assistenti sociali, “esperti” vari); solo così, fra l’altro, è possibile dare piena sostanza ed attuazione allo spirito che ha animato il Legislatore nella lunga fase di discussione ed approvazione della Legge 54 del 2006, meglio nota come “Legge sull’affido condiviso”.

 La mediazione familiare è un intervento che ha un senso e può produrre dei buoni risultati solo se entrambi i genitori sono d’accordo nel trasferire le questioni riguardanti i figli dalla scena giudiziaria in un luogo in cui venga privilegiato l’ascolto e lo sforzo di riconoscere le ragioni dell’uno e dell’altro. Questo non significa che l’ambito giudiziario debba e possa essere evitato, come per incanto; non sarebbe possibile, né auspicabile, né utile poiché i diritti vanno salvaguardati anche e soprattutto di fronte alla legge. Si tratta invece di decidere in prima persona sul compito educativo, sulla coerenza delle regole, sulla “condicio” che i bambini siano coinvolti e responsabilizzati il meno possibile rispetto ai conflitti degli adulti ed evitare, dunque, di affidare questi ed altri compiti ad altri che, per quanto sensibili, preparati, attenti e scrupolosi, rimangono pur sempre “altri”.

Per essere più chiaro, farò riferimento ad uno dei passaggi più delicati e di maggiore sofferenza cui si può assistere nel corso di un incontro  di mediazione, solitamente uno dei primi: il momento in cui bisogna comunicare ai bambini che la mamma e il papà si stanno separando: è uno sforzo che i genitori non vorrebbero affrontare mai; ed infatti qualcuno lo evita ricorrendo a piccole e, si ritiene, strategiche bugie – “papà parte e per un po’ non lo vedrai”; “papà ha cambiato lavoro e tornerà da te ogni tanto”; “si è rotto il lettone e quindi per un po’ andrà a dormire dai nonni…”.

In questo modo, sebbene incolpevolmente, si sottovalutano o non si colgono affatto i segnali di confusione e smarrimento che gli stessi figli, indipendentemente dall’età, hanno iniziato ad inviare  magari da diverso tempo e che necessiterebbero, invece, di essere valutati ed affrontati per poter dare loro rassicurazioni, certezze, punti di riferimento di cui hanno assoluto bisogno come non mai.

In mediazione familiare i genitori vengono messi di fronte al bisogno del bambino di fare i conti con quello che sta succedendo, che gli venga detta la verità (naturalmente quella parte di verità che il bambino è in grado di sostenere e di elaborare), in modo tale che possa essere “deresponsabilizzato”, potendo esprimere le sue ansie, le sue paure, sapendo che, comunque, potrà contare su entrambi i genitori.

A questo punto le coppie costruiscono, con l’aiuto del mediatore, una comunicazione “su misura” che tenga conto dell’età di quel bambino, dello sviluppo del suo linguaggio, del suo carattere; decidono quale possa essere il momento buono per parlargli, come prepararsi alle sue reazioni, come tenerlo d’occhio nei momenti successivi e come accogliere e “gestire” le sue reazioni.

Ebbene quale grande ed illuminato esperto potrà mai svolgere questo delicatissimo compito meglio di quella mamma e di quel papà, anche se non hanno sei o sette lauree nelle varie discipline psico-pedagogiche?

 C’è, inoltre, una bella differenza tra l’andare dall’avvocato dicendogli: “avvocato, ci pensi lei, …” e dirgli, invece, “…avvocato, siamo già d’accordo sull’affidamento dei figli, sulle visite, abbiamo già discusso, in linea di massima, sul mantenimento, ecc; ci dia un suo parere e ci prepari il ricorso di separazione”. A questo punto non ha nessuna importanza che quella bozza di accordo sia stata definita tra i genitori a casa propria o presso un servizio di mediazione familiare: quello che conta è che la coppia continui a parlarsi e a decidere in modo adulto e responsabile. Se riescono a farlo autonomamente (e sono in tanti a riuscirci) tanto meglio per tutti; per chi invece fa più fatica, il mediatore familiare offre il suo aiuto per definire quegli accordi, stando attento a non creare alcuna forma di dipendenza (non si può tornare dal mediatore ogni qualvolta si presenta la necessità di apportare delle modifiche, sapendo bene che queste saranno, fortunatamente, inevitabili, visto che parliamo di questioni riguardanti i figli la cui crescita è contrassegnata da cambiamenti continui).

 Più in dettaglio, un buon servizio di mediazione familiare deve essere in grado di fornire un’attività qualificata capace di andare incontro alle esigenze dei vari protagonisti della separazione:

– l’esigenza dei figli di poter contare su due genitori che pur separati coordinano la loro funzione educativa;

– l’esigenza dei genitori di poter usufruire di uno spazio di elaborazione della propria vicenda separativa in chiave di ricostruzione e riparazione;

– la possibilità del giudice che si occupa di separazione di utilizzare un intervento di tipo psicosociale fuori dal giudizio in fase preventiva o, sospendendo le procedure giudiziarie, offrire una nuova opportunità alla coppia, quando si sia creata una sorta di conflitto cronicamente agito per vie legali;

– l’esigenza di molti avvocati di poter assistere i propri clienti in condizioni meno critiche di emotività e più garantite dal punto di vista del benessere dei minori sia nelle fasi iniziali della separazione che in quelle successive;

– l’esigenza della collettività di vedere ridotti gli elevatissimi costi psicologici ed economici (individuali e sociali) dell’alta conflittualità da cattiva separazione.

            In questo tipo di intervento il mediatore, pur “entrando” nella relazione tra le due parti in conflitto, non prende le decisioni al posto dei disputanti, ma sono le stesse parti a portare avanti il processo decisionale.

            Le competenze del mediatore consistono nella capacità di:

– creare un clima relazionale favorevole all’instaurarsi e al mantenersi di un canale di comunicazione efficace e stabile tra i genitori;

– contribuire alla gestione dei conflitti in vista della ricerca autonoma da parte dei genitori di soluzioni concrete e condivise ai problemi generati dalla separazione;

– incentivare e valorizzare l’esercizio unitario e solidale della genitorialità anche dopo la rottura del legame di coppia;

– evitare di farsi coinvolgere dai problemi emotivi e affettivi di coloro che gli chiedono aiuto per non creare relazioni in contrasto con il suo ruolo imparziale.

 

 

 

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